Giovanni Serini, il militare che salvò Alberto Sed.

SCHEDA BIOGRAFICA

Nome e cognome: Giovanni Serini

Data di nascita:27 dicembre 1914

Luogo di nascita:Poggio San Marcello (AN)

Data di morte:18 ottobre 1963

Luogo di morte:Roma

Occupazione:tenente militare

Persone salvate: Alberto Sed

Luogo di salvataggio: Dora, Germania

GIOVANNI SERINI, IL MILITARE CHE SALVÒ ALBERTO SED.

Giovanni Serini non ha mai ricevuto onorificenze ufficiali. Egli è stato un uomo semplice e Giusto, un militare che, dopo esser stato catturato dai tedeschi, ha rinunciato a tornare in Italia dalla sua famiglia per salvare il giovane Alberto Sed.

Giovanni Serini nasce il 27 dicembre del 1914 a Poggio San Marcello, in provincia di Ancona. Il suo nome e il suo coraggio sono legati alla figura di Alberto Sed, sopravvissuto alla deportazione nazifascista ad Auschwitz, alle torture, alla fame e alle marce della morte. È il 1945 quando il giovane Alberto Sed, appena sedicenne, incontra Giovanni Serini, nel campo di concentramento di Dora, situato nel cuore della Germania.                                                                                                                                                                                          Nel libro Sono stato un numero, possiamo leggere il racconto di Alberto Sed: ”A Dora ero allo stremo: ferito, denutrito, non avevo più la forza di muovermi né di mangiare. Pesavo trentacinque chili. Avevo deciso di lasciarmi morire, a un essere umano non si può chiedere di soffrire all’infinito senza un motivo. Io non avevo un domani, non avevo più niente e nessuno. A cosa sarei tornato?. Stavo li disteso per terra ad aspettare la morte, quando si avvicinò un uomo. Mi guardò fisso, dovevo fargli pena così giovane. Ero uno scheletrino di sedici anni e mezzo. –E tu chi sei, che ci fai lì?- mi chiese. Lui si chiamava Giovanni Serini. Era un militare, i tedeschi lo avevano catturato in Grecia. Dopo l’8 settembre non aveva voluto continuare a combattere con loro. La sua famiglia era in Italia. Presto l’avrebbe rivista, gli americani stavano per rimpatriarlo. Il suo nome era in cima alla lista, dato che si trovava al campo da tanto: partivano per primi quelli che erano prigionieri da più tempo. La mia storia lo toccò profondamente. Mi chiese se avessi qualche amico lì che potesse occuparsi di me.

Scossi la testa:

-Nessuno.

-E a casa?

-Gli zii, forse. Lasciami in pace, ti prego, non ce la faccio più.

Serini non bedeva l’ora di riabbracciare i propri cari. Ma a prendere la sua decisione ci mise un attimo:

-Non ti lascio qui a morire, figliolo.

Il suo convoglio partì. Lui a bordo non c’era. Rimase a Dora fino a che io non mi fui ristabilito e fui in grado di badare a me stesso. Me lo aveva promesso, mantenne la parola. Da quel momento diventò mio padre e mia madre. Pensava a tutto, mi dava da mangiare, mi fece visitare dai medici dell’esercito. Usava mille premure. Non mi diede le scatolette americane, per uno nelle mie condizioni quel cibo troppo nutriente sarebbe stato fatale. Tanti morivano così. Dopo aver patito la fame, volevano mangiare tutto ciò che potevano. Deboli com’erano, a ucciderli bastava una semplice indigestione, o la dissenteria. Serini si faceva dare il latte condensato, i dadi per il brodo, le uova. Alimenti leggeri che lui stesso provvedeva a riscaldare e  che il mio fisico era in grado di sostenere. Così mi rimise le forze e in breve tempo potei riprendere a mangiare normalmente. Solo allora accettò di partire. Nel salutarmi mi consegnò il suo specchietto. Era un po’ rotto, ma era l’unico che aveva:

– Tieni. Così potrai vedere i progressi che fai. Devi trovarti ogni giorno un po’ più robusto, mi raccomando!

Nemmeno in Italia si dimenticò di me. A Roma, dove si stabilì, andò subito a trovare i miei zii. Li trovò preoccupati, nella mia lettera avevo scritto che forse sarei morto. Lui li rassicurò: – Il ragazzo è stato male, ma si è ripreso. Presto tornerà a casa.

Raccontò dei miei progressi degli ultimi mesi, di come fossi riuscito a riprendermi. Loro non sapevano cosa dire: – Alberto è un figlio per noi, lei ce l’ha salvato. Ci dica cosa possiamo fare, qualunque cosa.

Lui ringraziò, ma rispose che non gli serviva niente. Non era vero: era appena tornato, doveva riprendere la sua attività di muratore e non era facile in tempi come quelli. Avrebbe avuto bisogno di tante cose, ma era fatto così. Se ne andò senza chiedere nemmeno un pezzo di pane.

Giovanni Serini mi ha salvato la vita. Senza di lui non ce l’avrei fatta, sarei morto in due giorni. Non avevo più voglia di vivere e lui me l’ha ridata. Non avevo più forze, lui me le ha fatte ritrovare. Ho nei suoi confronti un debito di riconoscenza che non si estinguerà mai.”

Giovanni Serini muore il 18 ottobre del 1963, a causa di un infarto. Alberto Sed, che è rimasto in contatto con lui anche dopo il suo ritorno a Roma (7 settembre 1945), lo ricorda così: “Un giorno mi arrivò una telefonata. Era la sua vicina di casa. Serini aveva avuto un infarto e stava male, molto male. Mi precipitai al San Giovanni, dove lo avevano ricoverato. Feci appena in tempo a salutarlo. Era come se mi stesse aspettando, mi dissero i compagni di stanza. Mi vide arrivare, sorrise e chiuse gli occhi.

Era l’8 ottobre 1963. Giovanni Serini, marchigiano per nascita, militare per dovere, deportato per coraggio, generoso per intima vocazione, morì come era vissuto. In punta di piedi e col sorriso sulle labbra. Senza lamentarsi, senza dare disturbo. Si spense in un soffio, come tutti, lui che rendeva migliore la terra con la sua sola esistenza. Un uomo che doveva vivere per sempre e che vivrà nel mio cuore, nei miei ricordi. Nel dolore di quella tragedia improvvisa pensai subito ai suoi cari: la moglie, i bambini, che ora avrebbero avuto bisogno di tutto.

-Dio esiste- mi dissi, per la prima volta ad Auschwitz.

-Esiste! Mi ha mandato Serini a Dora quando stavo per morire, me l’ha fatto ritrovare ora che devo fare io qualcosa per lui-.

Da quel momento Angela, la moglie, fu per noi come una sorella. Fino al 2006, quando andò a raggiungere Giovanni nella parte più bella del cielo.

Noi e i Serini non cesseremo mai di essere legati. Ci aiutiamo a vicenda in ogni occasione e le nostre famiglie sono sempre presenti l’una nella vita dell’altra, dagli eventi più belli a quelli più tristi. Non so se Giovanni possa vederci. E’ tanto distante il Sole, anche quando la sua luce arriva chiara, senza l’ostacolo di una nuvola. Se può farlo, sarà contento di sapere che continuiamo a volerci bene e a stare vicini. Se non può pazienza, vuol dire che la vita è solo questa. Ha ugualmente un grande valore. Se anche lui non può vederci, i sentimenti che ci hanno unito li terremo stretti, fino all’ultimo giorno. Poi li affideremo al cuore di chi più amiamo. Come ha fatto lui.”

 

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA ESSENZIALE DI RIFERIMENTO

R. RICCARDI, Sono stato un numero. Alberto Sed racconta, Firenze, La Giuntina 2009.

L. MARI, “Ad Auschwitz sparavano ai bimbi per gioco”, La Repubblica, 26/1/2008, reperibile all’indirizzo: https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2008/01/26/ad-auschwitz-sparavano-ai-bimbi-per-gioco.rm_025ad.html

Video dell’I.I.S. “Leonardo Da Vinci” su Alberto Sed: https://www.youtube.com/watch?v=VeO5aduGTKI