Marco Moscati, ebreo partigiano e martire delle Fosse Ardeatine.

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SCHEDA BIOGRAFICA

Nome e Cognome: Marco Moscati

Professione: commerciante ambulante

Nazionalità: italiana

Data di nascita:  primo luglio 1916

Data di morte: 24 marzo 1944

Luogo della morte: Roma, eccidio delle Fosse Ardeatine

Onorificenza: medaglia d’argento del Comune di Roma

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Marco Moscati, ebreo partigiano e martire delle Fosse Ardeatine.

Marco Moscati è stato un partigiano ebreo, ucciso a soli ventisette anni nell’eccidio delle Fosse Ardeatine. Soprannominato “Marchello”, nasce a Roma il primo luglio del 1916, da Cesare Moscati e Allegra Calò e di mestiere fa il commerciante ambulante.

Dopo l’Armistizio della Seconda Guerra Mondiale, Marco Moscati prende parte alla lotta di liberazione entrando insieme ad Alberto Terracina nella formazione partigiana dei Castelli Romani, guidata dall’ebreo Pino Levi Cavaglione, che diventa suo fraterno amico e lo cita diverse volte nel suo diario, pubblicato nel 1971.

Pochi giorni dopo la “razzia” degli ebrei di Roma, Marco viene a sapere dell’accaduto e decide di tornare a Roma, correndo il rischio di venir catturato, per avere notizie dei suoi cari. Egli è angosciato da ciò che apprende sulla sorte di tanti ebrei romani ma i suoi timori per la sua famiglia si rivelano infondati: riceve una lettera dei genitori e una del fratello che lo informa di essersi procurato dei documenti falsi e di sentirsi così più tranquillo. Al ritorno da Roma, Marco porta alla brigata notizie terribili e racconta come i nazisti abbiano caricato sui camion anche bambini, donne incinte e anziani paralizzati. Egli partecipa a numerose azioni partigiane, come il lancio dei chiodi a quattro punte sulla via Appia, tra Genzano e Velletri (30 ottobre 1943); quel tipo di chiodi (forgiati furtivamente) cadendo al suolo lascia infatti sempre una punta che può danneggiare le gomme dei camion, ostacolando così i trasporti di uomini e materiali bellici nazisti.  Tra continue azioni di sabotaggio di tal genere, sollecitate anche dai piloti inglesi della Royal Air Force, dato che così essi possono colpire più facilmente, una volta immobilizzate, le colonne naziste, viene organizzata per la notte tra il 19 e il 20 dicembre 1943 dalla brigata di Marco, insieme alle squadre di Marino e di Frascati, un’operazione ad alto rischio ma di cruciale importanza: colpire un trasporto di soldati mentre transiterà sul Ponte Sette Luci mentre un altro gruppo colpirà il nemico lungo la linea ferroviaria Roma – Cassino. L’azione causa ai tedeschi la perdita di circa quattrocento uomini tra morti e feriti.

Nel mese di marzo del 1944, Marco è arrestato, probabilmente su delazione, sulla scalinata di Trinità dei Monti a Roma, dove si è recato per ritirare un piccolo carico di armi presso un’officina meccanica in piazza Panico, vicino a piazza di Spagna. Viene rinchiuso nel carcere delle SS in via Tasso, dove – come testimonia il fratello Angelo – è pestato selvaggiamente ma non rivela niente della rete operativa dei Castelli Romani. Il partigiano è poi condotto a Regina Coeli, dove nell’ora d’aria incontra il fratello Emanuele, che in una lettera autografa scrive alla famiglia di stare bene e che con lui c’è anche Marco. Quest’ultimo si fa poi portare dalla sorella Reale dei panni puliti, dato che dopo le percosse questi erano tutti imbrattati di sangue; la Moscati si impressiona talmente a vedere quegli indumenti che, per non far soffrire ancor più i suoi cari, li getta a Ponte Capi, prima di arrivare a casa.

Il 24 marzo 1944, Marco è prelevato dal carcere e fucilati dai tedeschi insieme al fratello Emanuele alle Fosse Ardeatine, che sono state teatro di una famigerata operazione di sterminio compiuta dagli uomini dell’Aussenkommando Roma della Direzione Generale per la Sicurezza del Reich (Reichssicherheitshauptamt o RSHA), agli ordini del tenente colonnello delle SS Herbert Kappler, per punire la morte di 33 nazisti caduti nell’attacco dinamitardo di Via Rasella organizzato da alcuni membri dei “GAP” (Gruppi di Azione Patriottica). Le 335 vittime designate sono costituite da detenuti nelle carceri di Regina Coeli, prigionieri delle celle di via Tasso e tutti gli ebrei in attesa di trasferimento da Regina Coeli al campo di Fossoli.

David Moscati, un altro, giovanissimo (appena diciassettene), fratello di Marco, è invece arrestato dai Carabinieri il 12 aprile 1944 e dopo essere stato rinchiuso a Regina Coeli e al campo di Fossoli viene deportato nel lager di Auschwitz, ove muore il 10 luglio del 1944.

Presso la Sinagoga di Roma, a Lungotevere de’ Cenci, è posta una lapide dedicata agli ebrei partigiani della Resistenza romana, tra cui a Marco Moscati, mentre in quella per i partigiani caduti per la Liberazione, sita in Piazza Santa Maria in Trastevere, appaiono i nomi di Marco ed Emanuele. A Marco Moscati sono dedicate anche una piazza ad Albano Laziale e una via a Genzano. Negli anni ’70 del XX secolo, inoltre, il Comune di Roma, su proposta di Carla Capponi, ha conferito una medaglia d’argento ai genitori di Marco.

Tra i nomi degli ebrei assassinati alle Ardeatine, tuttavia, compariva solo il nome di Emanuele poiché la madre di Moscati, Allegra Calò, non aveva riconosciuto gli indumenti che la supposta salma di Marco aveva indosso, diversi da quelli che il figlio aveva l’ultima volta che ella lo aveva visto.
Allegra attese il figlio Marco per anni, come ha testimoniato il nipote Cesare Moscati, convinta che potesse tornare da un momento all’altro e per questo ogni sera, nei giorni delle festività ebraiche lasciava la porta di casa sempre aperta.

Solo nel 2011 è stata possibile l’identificazione, ad opera dei Carabinieri del RIS (Reparto Investigazioni Scientifiche) della salma, deposta nel sepolcro n. 283, grazie a un confronto con il DNA del fratello Angelo, l’unico allora in vita.

Di fronte a tragedie come l’eccidio delle Fosse Ardeatine possono venirci in soccorso le parole che proprio l’amico fraterno di Marco, il noto partigiano ebreo Pino Levi Cavaglione, ha scritto nell’introduzione al proprio diario, ricordando come le crudeltà del regime nazifascista siano state lo stimolo, per lui come per tanti altri, per dedicarsi tenacemente alla lotta armata nella Resistenza:

“Se gli italiani non avessero provato un brivido di sdegno alle notizie delle uccisioni di massa e della deportazione degli ebrei, e di slavi e di altre popolazioni soggiogate; se negli ebrei, negli antifascisti, nei renitenti alla leva fascista non fosse insorto il terrore di finire nei campi di concentramento, di venir torturati o bestialmente uccisi, non vi sarebbe stata quella esplosione spontanea e improvvisa di energie umane e di elementi oscuri e selvaggi che, unitamente all’ istinto di conservazione e di difesa, spinse molti ad andare alla macchia per combattere. […] Io ho lottato perché sentivo di non aver più riparo nel passato, né garanzia, né impegni: perché volevo vendicare mia madre e mio padre e le innumerevoli vittime dei tedeschi e dei fascisti”.

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA ESSENZIALE DI RIFERIMENTO

P. BROGI, “Eccidio delle Fosse Ardeatine, 67 anni dopo due nuovi nomi”, Il Corriere della Sera, 23 marzo 2011, reperibile all’indirizzo:  https://roma.corriere.it/roma/notizie/cronaca/11_marzo_23/fosse-ardeatine-nuovi-riconoscimenti-paolo-brogi-190287449871.shtml

P. LEVI CAVAGLIONE, Guerriglia nei Castelli romani, Firenze, La Nuova Italia, 1971.

G. DE LUNA, P. CAMILLA, D. CAPPELLI, S. VITALI(a cura di), Le formazioni GL nella Resistenza. Documenti, Milano, Franco Angeli 1985.

L. PICCIOTTO, Il Libro della Memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia (1943-1945), Milano, Mursia 1991 (nuova ed. 2002).

Database del Centro Documentazione Ebraica Contemporanea (CDEC): http://digital-library.cdec.it

Sito dell’ANED (Associazione Nazionale Ex Deportati): www.deportati.it