Gino Bartali: “il bene si fa ma non si dice”.

SCHEDA BIOGRAFICA

Nome e cognome: Gino Bartali

Data e luogo di nascita: 18 luglio 1914, Ponte A Ema (FI)

Data e luogo di morte:5 maggio 2000, Firenze

Professione:Ciclista

Paese in cui ha operato salvando vite umane: Italia

Modalità di salvataggio: consegna documenti falsi nascosti nella sua bicicletta,  dà rifugio a ebrei nella sua cantina

Persone salvate: la famiglia Goldenberg

Onorificenze:Medaglia d’oro al valore civile (2006); Giusto tra le Nazioni (2013)

Fonte dell’immagine: https://riccardogazzaniga.com/gino-bartali-medaglie-appese-allanima/

GINO BARTALI: “IL BENE SI FA MA NON SI DICE E CERTE MEDAGLIE SI APPENDONO ALL’ANIMA, NON ALLA GIACCA”.

Gino Bartali, ciclista italiano specialista delle grandi corse a tappe, ha vinto moltissime competizioni, tra cui tre Giri d’Italia e due Tour de France. Bartali corse il suo primo Giro d’Italia nel 1935– arrivò settimo – e nello stesso anno vinse i campionati italiani di ciclismo. L’anno dopo ottenne un contratto con la Legnano, che allora era la squadra di Learco Guerra, uno dei ciclisti italiani più famosi dei primi del Novecento. Bartali vinse il suo primo Giro d’Italia nel 1936 e poi ancora nel 1937, quando fu designato capitano della squadra italiana mandata al Tour de France.

Bartali era un cattolico praticante, iscritto all’Azione cattolica dall’età di dieci anni. Nel febbraio 1937 prese i voti di terziario carmelitano; dedicò molte vittorie sportive alla Madonna e a s. Teresa di Lisieux. Aderì ai precetti della dottrina sociale della chiesa, rifiutando ostinatamente di iscriversi al Partito nazionale fascista nonostante le molte pressioni e le difficoltà che ne derivarono.

Dopo l’occupazione tedesca in Italia nel settembre 1943, Bartali giocò un ruolo molto importante nel salvataggio di centinaia di ebrei Italiani e stranieri.

Gino partiva da Firenze, nascondendo nella canna della sua bicicletta documenti da falsificare, con destinazione Assisi, percorrendo, spesso nel giro di poche ore, quasi quattrocento chilometri tra andata e ritorno. Recapitava alle suore clarisse del monastero di San Quirico i documenti che le religiose smistavano ad alcuni tipografi della zona; questi, poi, li restituivano pronti per essere consegnati ai gruppi di ebrei in fuga ospitati nel monastero. Bartali era molto legato all’Arcivescovo Angelo Elia Dalla Costa(riconosciuto come “Giusto tra le Nazioni” nel 2012), che aveva organizzato, insieme al rabbino di Firenze Nathan Cassuto, una rete clandestina contro il nazifascismo in cui operavano anche altri personaggi del clero e che collaborava attivamente con la DELASEM(Delegazione per l’assistenza degli emigranti ebrei), organizzazione di resistenza ebraica che operò in Italia per la distribuzione di aiuti economici agli ebrei internati o perseguitati.

Gino agiva per pura bontà di cuore. Lungo il tragitto incontrava molto spesso pattuglie di soldati tedeschi, che, insospettiti dal suo frequente vagare per quei luoghi, non esitavano a fermarlo. Egli in queste circostanze chiedeva espressamente che la bicicletta non venisse toccata, giustificandosi dicendo che “le diverse parti del mezzo erano state attentamente calibrate per ottenere la massima velocità”.

Circa ottocento ebrei furono salvati grazie al suo coraggio.

Le testimonianze dell’opera di salvataggio di Bartali sono molte. Prima tra tutte, quella di Giulia Donati, una donna fiorentina che dal 1974 vive in Israele, alla quale Gino consegnò personalmente i documenti falsificati che salvarono tutta la sua famiglia. Nella sua testimonianza, Giulia Donati ripercorre la fuga della sua famiglia da Firenze fino a Secco, ove viene loro offerta una casa grazie a due anziane sorelle, Isabella Pacini e Settilia Crocini. Bartali giunse a casa delle due sorelle ma, non riconosciuto da Settilia, fu allontanato. Quando le sorelle compresero di aver commesso un errore, decisero di non raccontare l’accaduto ai Donati per non creare loro ulteriore apprensione. Solo dopo la guerra fu resa nota la vicenda.

Gino Bartali, inoltre, aiutò a salvarsi anche la famiglia Goldenberg, che si era trasferita in Toscana da Fiume dopo essere miracolosamente scampata alle retate dei fascisti. La famiglia si era stabilita a Fiesole e nonostante le leggi razziali, fino all’occupazione tedesca riuscì a vivere una vita relativamente tranquilla, barcamenandosi tra mille insidie e restrizioni. Giorgio Goldenberg, che nel 1941 aveva 9 anni, tutti i giorni da Fiesole si muoveva verso Firenze, dov’era iscritto alla scuola elementare ebraica. I Goldenberg diventarono amici di Bartali e di suo cugino Armandino Sizzi, che essi avevano incontrato nel 1941 per la prima volta. Giorgio, che ora si chiama Shlomo Paz, racconta così la vicenda: “Gino Bartali, che era un amico della famiglia di mio padre da prima della guerra, ci accolse tutti: il babbo, la mamma, mia sorella; ci nascose prima nel suo appartamento e poi nella cantina”. In quella cantina si nascosero negli ultimi mesi di occupazione tedesca. “La cantina era molto piccola. Una porta dava su un cortile ma non potevo uscire perché avrei corso il rischio di farmi vedere dagli inquilini dei palazzi adiacenti. Dormivano in quattro in un letto matrimoniale: io, il babbo, la mamma e mia sorella Tea. Non so dove i miei genitori trovassero il cibo. Ricordo solo che il babbo non usciva mai da quella cantina mentre mia madre usciva con due secchi a prendere acqua da qualche pozzo”.

Solo dopo tre mesi furono finalmente liberi, quando Giorgio, uscendo dalla cantina vide un soldato inglese della Brigata Ebraica: “Mi ricordo che tutti gridavano che erano arrivati gli inglesi e io uscii per vedere. Così vidi un soldato inglese con la scritta Palestina e con la Stella di Davide cuciti sulle spalle, mi avvicinai e mi misi a canticchiare la Hatikwa (l’inno del futuro Stato di Israele, ndr). Lui mi sentì e si rivolse a me in inglese. Tornai di corsa in cantina, chiamai il babbo che uscì e cominciò a parlargli in yiddish. In quel momento capii che eravamo liberi”.

Ricercato dalla polizia nazifascista, Gino Bartali sfollò a Città di Castello, dove rimase cinque mesi, nascosto da parenti e amici.

Per il suo coraggio e il suo esempio, il Comune di Firenze ha voluto piantare, nel 2006, un albero in suo onore nel Giardino dei Giusti di via Trento.

La sua straordinaria attività a favore dei perseguitati è stata descritta nel libro Gino Bartali, mio papàdi Andrea Bartali, in cui il figlio del campione ha compiuto una lunga opera di ricerca di testimonianze, che hanno contribuito alla decisione dello Yad Vashem di riconoscere nel 2013, Gino Bartali, “Giusto tra le nazioni”.

Gabriele Nissim, presidente dell’associazione Gariwo – La foresta dei Giusti, ha così commentato per la rivista Mosaicola notizia del riconoscimento attributo a Gino Bartali: “Un primo aspetto da considerare è la modestia e l’umiltà di Bartali, che ha salvato vite umane senza parlarne o gloriarsi. Ben cosciente dell’importanza della sua figura in quegli anni, è riuscito a utilizzare la sua popolarità per fare questi atti, essendo di fatto molto difficile che le autorità fasciste lo arrestassero. Questo deve essere di insegnamento agli sportivi di oggi che, anche se impegnati nella difesa dei diritti umani, sembrano più interessati alla propria notorietà che, invece, a farsi portavoce di messaggi di valore. Un secondo punto su cui è importante riflettere è che la storia di Bartali mostra come in Italia fosse sempre possibile compiere delle buone azioni per salvare gli ebrei. Nelle motivazioni con cui lo Yad Vashem insignisce Bartali del titolo di Giusto si legge: “ha rischiato la vita”. In Italia, però, la situazione non era così drammatica come in Polonia, Romania, Ungheria o altri paesi; da noi c’era sempre una possibilità per salvarli: assumendosi questa responsabilità, Bartali ci dimostra come tanti avrebbero potuto fare di più per gli ebrei in quegli anni. Non sono d’accordo con la connotazione di “eroe eccezionale” che si gli si dà: Bartali è riuscito a utilizzare il suo prestigio sapendo che c’erano dei rischi tutto sommato limitati. Mi piace, invece, pensare a lui come un “eroe normale”, una persona che ha fatto del bene spinto da una grande, semplice bontà.”

ll 16 maggio 2017, alla vigilia della partenza dell’undicesima tappa del Giro d’Italia (da Ponte a Ema a Bagno di Romagna), la squadra israeliana di ciclismo “Cycling Academy”ha organizzato una corsa con partenza da Ponte a Ema fino ad Assisi, sullo stesso tragitto che “Ginettaccio” percorse almeno quaranta volte per aiutare gli ebrei. Nel 2018, Israele gli ha conferito la città onoraria postuma.

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA ESSENZIALE DI RIFERIMENTO

G. BARTALI, Tutto Sbagliato. Tutto da Rifare, Milano, Mondadori 1979.

A. BARTALI, Gino Bartali, mio papà, Milano, TEA 2012.

A. McCONNON – A. McCONNON, La strada del coraggio. Gino Bartali, eroe silenzioso, Roma, Edizione 66thand2nd 2012.

https://www.yadvashem.org/education/other-languages/italian/about-righteous/bartali.html

https://it.gariwo.net/giardini/giardino-di-firenze/firenze-3724.html

https://it.gariwo.net/giusti/soccorritori/il-dossier-di-gino-bartali-a-yad-vashem-2208.html

http://www.mosaico-cem.it/attualita-e-news/personaggi-e-storie-attualita-e-news/gino-bartali-un-eroe-normale

https://www.repubblica.it/cronaca/2013/09/24/news/giorgio_goldenberg_bartali_mi_nascose_nella_sua_cantina_se_sono_ancora_qui_lo_devo_a_lui-67151273/

http://moked.it/blog/2017/09/18/“sono-vivo-perche-bartali-ci-nascose-in-cantina”/